Classici contemporanei - Parole Spalancate Mauro Macario
Attivo dal 1995, il Festival Internazionale di Poesia di Genova “Parole Spalancate” è la più grande e longeva manifestazione italiana di poesia
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Classici contemporanei

Classici contemporanei

CLASSICI CONTEMPORANEI
Rubrica di Marco Ercolani*


MAURO MACARIO
Le trame del disincanto. Tutte le poesie 1990-2017
(puntoacapo edizioni, 2017)

mauro macario

Le trame del disincanto raccoglie l’opera omnia di Mauro Macario (Il destino di essere altrove, Silenzio a occidente, La screanza, Metà di niente).

Ma un libro che ha la seria ambizione di essere definitivo nella carriera di un poeta può anche felicemente fallire il suo scopo ed essere solo l’inizio di un’opera non ancora suggellata dalla fine (non a caso, dopo questo volume, Mauro pubblica un ulteriore libro, Alphaville, il cui titolo è un omaggio a Jean-Luc Godard).
Il lettore ascolta perdurare, pagina dopo pagina, una voce che non smette di essere se stessa, infuriata, malinconica, sovversiva, infantile, e contraddice il re Lear di Shakespeare (“Maturità è tutto”) perché è felicemente immatura (l’adultità dell’uomo è, oggi, l’ambigua e scientifica capacità di sterminare il suo simile: «Qui è scoppiata la bomba / che lascia intatte le strutture / uccidendo le persone»).

In una delle sezioni del libro, La screanza, il poeta scrive: «mentre in un grill / l’uomo disperso raccoglie i suoi resti / tra un caffè indecente e un silenzio nucleare / a quell’ora più non risponde / a voci attutite impastate di neon / paga e riparte / lo aspetta quel viaggio / senza casello d’uscita lontanamente…». La “screanza” è un’azione “sgarbata, scontrosa, che rivela maleducazione, inciviltà, rozzezza”, che evoca senza troppi sottintesi la necessaria “ineducazione” dell’eresia poetica.

Le poesie di Mauro, in questa come nelle altre parti del libro, sono malinconiche e infuriate, intime e sovversive, velenose punture al cuore degradato della civiltà e dell’uomo, atti di accusa individuali e sociali che lasciano il segno, nella pagina: anzi la cicatrice. Con lingua asciutta, antilirica, narrativa, e un andamento irregolare e prosastico, queste poesie sono armi in cui le vibrazioni affettive ed etiche hanno la massima risonanza. Macario approda, in Le trame del disincanto, a una poetica che, tessuta nella retorica dell’invettiva, la trasforma per farsi grido mai placato di libertà, dolente testimonianza di un uomo offeso che non rinuncia ad essere “uomo”.

La lingua sempre “sovratono” induce il lettore a una navigazione in apnea del libro fino all’ultimo respiro, a una lettura disperata e tesa come disperata e tesa è questa scrittura che al lirismo delle immagini preferisce la nuda provocatorietà dei fatti (lutti intimi o stermini globali).
La poesia di Macario è, fin dall’inizio, una “scrittura a voce alta”, focosa, irruente, per sua natura interminabile: «io sono un autistico animoso / che lacera il suo involucro / con armi improprie / fatte in casa / come un artigiano / dell’eversione solitaria» (Cantico della resa mortale): la voce di un bambino adulto che reclama i suoi diritti e lo farà fino all’ultimo fiato, qualsiasi prezzo debba, dopo, pagare. Una voce traboccante pietas e nostalgia, che non vuole le stanze chiuse dell’intimismo ma la piazza aperta della rivolta, con un lettore-spettatore complice e appassionato. Macario è profondamente estraneo agli scialbi intimismi stilistici che contraddistinguono certa scrittura contemporanea.

La sua attenzione per le figure eretiche, i matti e gli anarchici (l’amato chansonnier Leo Ferrè) è splendidamente evidente nella poesia Schumann non sapeva nuotare dedicata al grande musicista tedesco morto folle: «Tu non saprai mai / cosa vuol dire passare le stazioni / e non scendere da sé stessi a nessuna / rimanendo sul posto con un biglietto scaduto / nel maltempo che imperversa al di là del corpo caduco / Schumann lo sa / salvato dai barcaioli e internato / nel manicomio di Endenich / morendo in sinfonia con le cose inapparse». Quando scrive «io / finalmente / non io» si congeda in modo definitivo da un mondo ottuso e crudele: sa «che la saudade è madre del mondo / che un paese è solo un’idea / e non c’è patria per gli uomini inquieti».

E se è vero che «la vita non è un film francese / loro non tornano / né al rallentatore / né a passo normale /semplicemente / vanno in un altro film», Macario si augura che loro, gli eroi amati in tante stagioni della vita (cantanti, attori, poeti, uomini di cabaret e di teatro) non si spengano come se non fossero mai esistiti ma passino “in un altro film” e restino nella nostra memoria per amore di finzione, per amore di vita e di verità, nella pausa di qualche verso, immortali. Anche se tutto, come recita la canzone di Leo Ferrè Avec le temps, è destinato a finire, la bellezza è sempre quel lampo che nutre le illusioni dei superstiti. «Di notte io / divento quelli che ricordo / e mi parlo con voci polifoniche / sono il travestito di tutte le assenze».

Macario appare, per tutta la durata delle sue sillogi, il profeta di un’iperbole assoluta del linguaggio con la quale vorrebbe, da ragazzo maudit, scardinare i soprusi universali del mondo, scagliando contro il nemico, visibile e invisibile, le parole della poesia come fuochi incandescenti. Il gesto, eversivo, plateale, scandaloso, ripetuto come litania e come accusa, resta, e innerva tutto il libro. Ma, in un cantuccio segreto dell’anima, non smette di palpitare, come un personale prodigio, il sentimento amoroso: «Tu sola / hai diritto / di trovarmi rifugio / molto più a sud / dell’eternità inventata»; «Di notte dormendo / c’incontriamo negli incavi / non sappiamo chi dei due / va a rinascere nell’altro / ma bocca a bocca / scambiandoci i sogni / il mattino ci trova gemelli». Il poeta sa che la traccia dell’intima memoria vincerà sempre contro ogni forma di morte «perché l’addio congiunge chi si lascia / e il corpo trattiene l’impronta sacra / dell’antico paesaggio amoroso / se l’amnesia la cancella è natura abominevole».


marco ercolani*Marco Ercolani è psichiatra e scrittore. E’ autore di una vasta bibliografia che comprende saggi, romanzi e raccolte poetiche.
Con Turno di guardia ha vinto nel 2010 il Premio Montano per la prosa inedita. Tra le sue ossessioni: i racconti apocrifi, le vite immaginarie, la poesia contemporanea e il nodo arte/follia.