Classici contemporanei - Parole Spalancate Milo De Angelis
Attivo dal 1995, il Festival Internazionale di Poesia di Genova “Parole Spalancate” è la più grande e longeva manifestazione italiana di poesia
Festival, poesia, Genova
1865
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Classici contemporanei

Classici contemporanei

CLASSICI CONTEMPORANEI
Rubrica di Marco Ercolani*


MILO DE ANGELIS
Tutte le poesie (1969-2015)
(Mondadori, 2017)

L’opera omnia di un poeta vivente è sempre un lavoro in corso, destinato a restare incompiuto e non risolutivo.
Dopo la pubblicazione della sua opera integrale in due versioni diverse (Poesie, Mondadori, 2008; Tutte le poesie 1969-2015, ibidem 2017), Milo De Angelis ha già ultimato un libro ulteriore, Linea intera, linea spezzata (Mondadori, 2021). Il poeta riassume la sua poetica in Colloqui con la poesia (la Vita Felice, 2008): «Qualcosa si esprime poeticamente perché è impossibile, per lei e per noi, fare altrimenti. È impossibile sopravvivere nella zona buia e minacciosa della cosa non detta: la cosa preme, urla, esige di venire alla luce. È dunque immortale il mito di Orfeo. Ciascuno di noi è orfico di fronte a questa richiesta della parola».
La magia del dettato poetico è la smagliante nitidezza dell’oltranza metaforica: «Era l’aggravarsi di ogni atto / nel buio di se stesso» Il poeta non soggiace a nessun credo extrapoetico: l’accento mitopoioietico della sua voce deriva da un rigoroso desiderio di sacralità che coniuga l’apertura visionaria con la minuziosa descrizione del proprio mondo percettivo.
La sua poesia, sia che la traversi un orfismo ermetico sia che si lasci guidare da un ritmo prosastico-narrrativo, mira sempre al punto cruciale, diventa destino urgente del dire.
Nessuna divagazione, nessuna ironia.
Un viaggio preciso nel proprio maelstrom interiore, dove la voce è sempre intatta e spezzata, metafisica e spaziale, intima e turbata. In Cosa è la poesia? (il discorso che conclude Tutte le poesie 1969-2015) scrive: «Strano paradosso della poesia: puntare alla permanenza e farlo con i mezzi più poveri e antichi e indifesi: fuori dall’attualità, fuori dal commercio, fuori da tutto, a volte fuori anche da se stessi, se noi scriviamo con una parte di noi che non conosciamo interamente, che è nostra e non è nostra, che è una zona scura e segreta anche per noi. Segreta e a volte sconvolgente. Ma così deve essere in poesia: per cambiare la vita di chi lo legge, un libro deve sconvolgere chi l’ha scritto».

Milo conferma le parole inequivocabili di Antonin Artaud: «Sì, ecco ora il solo uso cui possa ormai servire il linguaggio. Un mezzo di follia, di eliminazione del pensiero, di rottura, il dedalo delle sragioni». Se il dedalo di una sola ragione è la psicosi, il dedalo delle diverse sragioni è la sfida poetica alla complessità del vivente, è l’ingresso nella vertigine che ancora le parole possono reggere, in un movimento supremo e impossibile dove i morti non cessano di non parlare e ai vivi è consentito solo trascrivere con fedeltà le voci da cui sono posseduti.
«Esiste una poesia disalberata, figurazione del vento che sta per straripare e sfila ritmi di nuove, ondose creazioni». Queste “ondose creazioni” sono l’architettura dell’opera omnia di Milo De Angelis.
Tutte le poesie 1969-2015 è l’autoritratto di un perturbamento assoluto: la rischiosa innocenza dell’espressione, dove astratto e concreto convivono in un ibrido inquietante, è simultaneamente la raffinata strategia del “tempo” poetico, la calllida iunctura dell’Ars poetica oraziana.
Milo calcola il peso di ogni parola da cui viene attraversato, sognatore di un mondo celeste curvato sulle tracce terrestri. Se il poeta possiede la pienezza del canto di Orfeo, se abita da sempre la sua origine, questa origine non è la consolante dolcezza di un ritorno a Itaca ma il magico incombere con cui si separa da ogni luogo conosciuto e irrompe nell’altrove di una irripetibile lontananza.
Come è necessario non perdersi in un dolore senza forma, così è necessario che l’equilibrio della forma si incrini di quello stesso dolore. Dioniso deve cercare Apollo, come Apollo non dimentica Dioniso.
Il poeta arabo Tabrizì scrive: «Di me non so più, eppure resta il ricordo di un grido di canna». Il destino del poeta si riaffida definitivamente alle sillabe di quel grido uscito dal silenzio, che da sempre regge il destino dell’uomo e da sempre definisce il suo essere. Di questa esperienza, oltre i limiti della parola, De Angelis è vigile e sonnambulo descrittore. Tutto il resto è “biografia sommaria”, naturale percorso di un poeta contemporaneo tra realtà e trasfigurazione.

In Cosa è la poesia De Angelis scrive:«Cos’è dunque la parola poetica? A prima vista, sembra essere la più imprevedibile e al tempo stesso la più necessaria, la più sconosciuta e la più tradizionale, in un equilibrio instabile che è anche quello del poeta, creatura nella quale convivono nello stesso tempo e nello stesso luogo un uomo spaesato e un uomo lucidissimo, un uomo che ha smarrito tutte le certezze e un signore del discorso, un uomo ardente e febbrile e un uomo che ha la freddezza di una cartina militare, un uomo attentissimo al palpito presente della lingua e un uomo catturato dal passato».
Milo De Angelis è, fin dall’inizio della sua parabola poetica, il visionario testimone del mistero sempre imminente della parola e l’assorto narratore delle sue ossessioni psichiche e delle sue memorie private. «Ci frastorna questa furia di voci, foglie / nello spazio tra due corpi, antiche / camere d’albergo cadono in cortile / come una frazione di noi / e noi cominciamo la parafrasi».

 


marco ercolani*Marco Ercolani è psichiatra e scrittore. E’ autore di una vasta bibliografia che comprende saggi, romanzi e raccolte poetiche.
Con Turno di guardia ha vinto nel 2010 il Premio Montano per la prosa inedita. Tra le sue ossessioni: i racconti apocrifi, le vite immaginarie, la poesia contemporanea e il nodo arte/follia.