Classici contemporanei - Parole Spalancate Anna Cascella
Attivo dal 1995, il Festival Internazionale di Poesia di Genova “Parole Spalancate” è la più grande e longeva manifestazione italiana di poesia
Festival, poesia, Genova
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Classici contemporanei

Classici contemporanei

CLASSICI CONTEMPORANEI
Rubrica di Marco Ercolani*


ANNA CASCELLA LUCIANI
Tutte le poesie 1973 – 2009
Gaffi,2011

anna cascella

«La vera letteratura lascia cadere sul mondo una lama di luce sghemba e tagliente» scrive Roberto Calasso. E questa luce sghemba, in Anna Cascella Luciani, non è un arrovellarsi metafisico: è un inno imperituro, scanzonato, ironico, all’amore, alla giovinezza, alla vita, alle sensazioni.

Il suo è un canzoniere d’amore perfettamente inattuale, con echi alla Penna, scandito da versi brevissimi, che vogliono offrirci la gioia di comunicare la felicità amorosa. Questo splendido e necessario libro (Tutte le poesie 1973-2009, Gaffi editore, 2011) ne è l’emblema più evidente.
Tutte le sue poesie sono segnate da una febbrile, gioiosa, dolente irrequietezza. «E il verbo, si sa, trascina dietro una storia, un movimento, un luogo. È l’unica parola che da sola ha un senso per tutti gli uomini. La poesia si è spogliata dei suoi artifizi per esprimere un modo di essere, di esistere» scrive Leonardo Sinisgalli. Così Anna Cascella Luciani  cerca di esistere, e i suoi verbi, il suo semplice e ondivago parlare d’amore (“dici”, “sali”, “parti”, “cerco”, “amo”) effondono questo desiderio ovunque, come un aroma, come una traccia erotica.

Anna scrive in una lingua che non sembra italiana; una parola semplice scorre nella sua lingua ventosa ed enigmatica, una parola assolutamente vera. Senza verità, l’uomo muore; ma senza finzione non è autentico. Verità e finzione fanno parte della sola, possibile riconciliazione che è concessa alla parola nella sua magica resistenza all’assedio della normalità. Qui la finzione è il continuo parlare d’amore, il dimenticarsi i nodi, i documenti, le noie del vivere. Non esiste, nel linguaggio di Anna, la fascinazione intralinguistica e intraducibile della parola poetica, ma il potere magico, dentro una parola liquida e cantilenante, di persuadere che tutto è amore, incontro, incanto; che tutto è ininterrotto narrarsi restando fedele al proprio inenarrabile sogno amoroso: sogno vero perché cerca di affiorare sempre, anche dalla nebbia che vorrebbe soffocarlo: e scaturisce in versi brevi, lievi, cantabili, che delineano senza addensare, che descrivono senza dire.

Con Anna, l’apparente assenza di pensiero è la radice necessaria e sorgiva del “ragionar d’amore”. Per lei, come scrive Musil, «La verità non è un cristallo che ci si possa infilare in tasca, bensì un liquido infinito nel quale si precipita». Cascella Luciani si avvicina, nel suo tormento creativo, a quanto con sereno realismo scriveva Coleridge: «Poiché la funzione della passione non è di creare, bensì di portare al maggior grado di espressività ciò che esiste».
Cascella Luciani, mentre scrive versi e dice io, non è un poeta che vuole contenere la sua passione in un libro: è una ninfa, un essere amante, delicato e fuggitivo che trasvola fra le parole e ci parla dei trasalimenti dell’amore. Il suo vibrafono è impareggiabile, difficile da imitare. Forse solo nei Tristia o negli Amores di Ovidio cogliamo, sotto il tessuto dei versi, lampi della poesia futura di Anna. La sua poesia è un inno ininterrotto e impertinente all’amore, alla giovinezza, alla vita, un canzoniere erotico scandito da versi brevissimi, colti in una gioiosa e innamorata irrequietezza. «Non c’erano a Orte / cartoline dove io / presi un treno pure / ti scrissi che sorte / felice io non temo». Il suo discorso poetico è un ininterrotto discorso contro la morte, retto da una musica lieve dove i versi, come evaporati, si presentano al lettore aerei, senza peso: «So benissimo / che esistono i vermi / e il mio corpo sarà / decomposto e i miei versi / non certo gli eterni / avamposti d’amore ma Dio Santo / lasciatemi in pace – voi / in cui tace la misura / d’amore». La “misura d’amore” è la necessità di essere libera e viva, come se, prima della poesia che sta scrivendo e che noi leggiamo, nulla esistesse e l’atto poetico fosse sorgivo, immediato, incontenibile. Innocenza non esiste, nella scrittura. Ma nei versi di Anna affiora una consapevole illusione di innocenza, uno strategico uso di rimandi e di echi, “a passo di danza” (Giovanni Giudici), nell’uso della rima e del verso breve, che fanno di questa poesia un inequivocabile dono amoroso, immune dai codici della storia e del pensiero, un dono che ci arriva dall’isola incantata del Prospero shakespeariano: «scriverlo / grande sui muri: / “ti amo – sta / attento – non siamo / sicuri” graffiti / detriti – roveti / confusi – ricordo / disastro morte – reclusi»

Di Cascella Luciani scrive così Alessandra Paganardi: «Anche la poesia può fare questo, può diventare un ricamo che sprofonda nella stoffa ma poi balza di nuovo in aria, in un battere e levare che è vita della parola, vita del mondo, vita che non finisce». Il “ricamo”, in questa lingua ventosa ed enigmatica, è una parola felicemente vera. Anna non è solo immersa nella sua mobilità espressiva, erotica Achmàtova del nostro tempo, sorpresa a bisbigliare, fra sé e sé, di incontri interrotti e di amare delusioni: in lei l’angoscia sotterranea della morte è sempre palpabile, e questa splendida poesia lo testimonia, con la levità di versicoli come improvvisati che narrano in poesia, non frantumando la trama ma alleggerendo il tessuto, due celebri suicidi, quello di Primo Levi e quello di Walter Benjamin:
«– di Levi non si sa / se fu malore improvviso / a scivolarlo per il cono / oscuro delle scale – lo stretto – / buio cunicolo d’abisso – / simile alla polvere-fumo / degli uccisi ad Auschwitz / che salire vide – in peso / di gravità incontraria – / nel campo dove ebbe / reclusione – o se fu / il sopravvissuto dolore / a portarlo via – Torino – / 11 aprile dell’ ’87 – / e Benjamin – a un passo / dalla forse salvezza – in fuga / dall’orrore che lo perseguiva – / si uccide – nella notte / del 25 settembre del ’40 – / Portbou – frontiera / tra Francia e Catalogna – / non reggendo ansia / di fuga – di persecuzione»
Ma l’immagine più esatta di Anna Cascella Luciani, che trasfonde in versi il suo vissuto di donna ai margini del mondo dei vivi, è evidente in questa struggente poesia della scomparsa e della presenza, nata da un dettaglio biografico e sconfinata in epifania dell’aldilà:
«Simone ed Esmeralda / se ne vanno per il rione / Prati – nell’eterna / Città del desiderio. / Simone mostra un nome / ad Esmeralda: il mio / su un citofono – nome / che lì è ancora – ed io / non sono lì»

Lo spazio dell’opera e del destino di Anna potrebbe oggi essere definito da questi versi: «Nome / che è lì ancora – ed io / non sono lì». Dove alla massima semplicità dell’espressione corrisponde una tramatura sottilissima, che ci riporta ancora una volta alla suggestiva metafora del “ricamo” sui bordi del nulla.
A lettura ultimata, il libro di Anna appare come una raccolta di armoniosi ma irrequieti frammenti su temi noti – amore, conoscenza, morte – e la sensazione che resta al lettore non è quella del libro summa di una vita poetica ma di un’inquietudine ariosa, da Ariele shakespeariano, che esigerà ancora nuovi paesaggi, nuove parole. Non è solo un caso che nel 2016 appaia un nuovo volume di Anna, Gli amori terreni, edito da Giorgio Bertelli per le edizioni dell’Obliquo: il libro raccoglie le poesie scritte fra il 2009 e il 2012. In (divagando) scrive: «è ormai così nota / la notizia di non avere / più eco – più attenzione / e si disfa nella nella sua lieta / eremita delizia che ne fa / miele serrato – anfora / claustrale al cui interno / sorgono arance della specie / che fu storicamente chiamata / amor cortese -». Miele, anfora, energia amorosa: un eros che non cessa, con mozartiana leggerezza, di evaporare nella pagina. E ancora, testimoni del suo lavoro poetico: «queste parole dette / inutilmente – / per una vita intera – certamente». Nulla è prevedibile nel disegno di questa poesia leggera e tragica, intrecciata in una solitudine pensosa e leggera, dove la parola può e deve sconfiggere il silenzio totale della morte con una parola ulteriore e dislocante – lampo, scheggia, fitta di dolore, soprassalto dii gioia. Il libro, mai finito e sempre in fieri di Anna Cascella Luciani, il suo “zibaldone” poetico, è composto non solo e non tanto dalle naturali domande che la vita impone all’uomo ma da tutte le risposte a quelle domande, come in un atlante del possibile e dell’impossibile che trascrive il ritmo quotidiano del vivere attraverso il continuo vibrare della percezione verbale. Il poeta oscilla fra cose salde, dove si arresta la parola, e soglie labili, che sfuggono ai segni linguistici. Anna mostra, con i suoi versi ritmici e brevi, una mente disseminata di malinconie potenti e amorose strategie di salvezza, che solo la brevitas sa innescare.
«Sterno / osso impari, / lotto del sogno che regge / clavicola (le sette costole / prime innalza e racchiude), / schiudesse il collo / la voce / anche se implume, / se incerta, / ma / nell’aprirsi vocale / la vita ombelico foro / e natale»

Chi può comprendere completamente il significato di questo frammento poetico? Forse nessuno, interamente. Ma si ha l’impressione, come per la scrittura lampeggiante della Ortese, di un movimento di pietas verso la vita, di un atto vocale emerso dal punto del corpo da cui sprigiona la vita. Come scrive Emily Dickinson, tradotta da Silvia Bre: «Questo mondo non è conclusione, / c’è un seguito oltre – / invisibile, come musica – / ma reale, come suono – / attira e confonde – / la filosofia non sa». Infatti, la filosofia non sa. Come scrive Anna, è solo il poeta a sapere tutte le oscurità («…mormoro un sogno / che mi riposa nel sonno / meridiano») e tutti gli spossessamenti (« tu – finalmente – tornato – invadente»).


marco ercolani*Marco Ercolani è psichiatra e scrittore. E’ autore di una vasta bibliografia che comprende saggi, romanzi e raccolte poetiche.
Con Turno di guardia ha vinto nel 2010 il Premio Montano per la prosa inedita. Tra le sue ossessioni: i racconti apocrifi, le vite immaginarie, la poesia contemporanea e il nodo arte/follia.