Zag zig - Parole Spalancate Gli slogan sono poesia?
Attivo dal 1995, il Festival Internazionale di Poesia di Genova “Parole Spalancate” è la più grande e longeva manifestazione italiana di poesia
Festival, poesia, Genova
2014
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Zag zig

Zag zig

ZAG ZIG. Vagheggiamenti vagamente svagati
Rubrica di Stefano Bigazzi*


vietato vietareViva Marx viva Lenin viva l’Internazionale. E poi: viva Marx viva Lenin viva Mao Tse Tung.
Va be’ oggi si dice Zedong e non ci sono più i marxisti-leninisti e financo maoisti di una volta. Ma quel che mi interessa è altro.
Uno slogan, se in rima, è poesia?
Tutte le rime sono poetiche?
Me lo chiedo perché da qualche tempo lavoro a una re-visione del lessico extraparlamentare da fine anni Sessanta a tutti i Settanta. Prendo gli slogan dell’epoca adeguandoli al presente. Che comprende anche il Covid. Tanto che mi sono sbizzarrito a scrivere su tela azzurra, quella dei camici sanitari monouso. Quadri politici da un prigioniero politico: “autonomia operaia, organizzazione/ lotta di classe per la rivoluzione” è diventato “epidemia operaia, organizzazione/ lotta di classe per la vaccinazione”. E non è e non vuole essere un mero gioco di parole, a ben leggere c’è verità. Anche se soggettiva.

Avanti (popolo): “lotta, lotta di lunga durata/ lotta di popolo amata/ lotta continua sarà”. E che sia amata è da vedersi. Mi sono appropriato anche di PotOp. Trasformandolo in Godere Operaio. Con tanto di inno: “Stato e padrone fate attenzione/ nasce il partito dell’insurrezione/ Potere Operaio e rivoluzione/ lotta di classe e comunismo sarà”. Ho preferito un “… fate attenzione/ nasce il partito dell’introspezione/ Godere Operaio e sublimazione/ lotta di classe e consumismo sarà”.
In questo accogliendo le istanze più moderniste: se anche i ricchi piangono pure i proletari hanno lo smartphone. Autocoscienza politica, perbacco. A proposito: mi sono permesso un “proletari di tutto il mondo uditevi”, mi è parso disillusorio al punto giusto.

Genova, primavera 1975. Da un palco in piazza Matteotti un megafono diffonde “la classe operaia lo grida in coro/ vaffanculo governo Moro”. Dico il peccato sapendo benissimo chi fosse il peccatore. Ecco: “la classe operaia ha un grido solo/ portare l’attacco al colesterolo”. I rivoluzionari hanno messo su pancia.
Claudio Pozzani, tornando alle rime, mi rammenta questi: “Berlinguer Andreotti sacrifici e poliziotti”, seguito da “Cloro al clero, diossina alla DC e Piombotetraetile sull’MSI” poi “Legna legna legna, non smetter di legnare, la gobba di Andreotti dobbiamo raddrizzare” infine “È ora, è ora, miseria a chi lavora”. Oppure “potere a chi lavora”. Aggiungo “è ora, vaccino alla malora”.
Da par mio ho rivisitato un’enunciazione libertaria: “Non è la dittatura, non la democrazia/ il vero comunismo è l’anarchia”. È stato facile, si può dire scontato. Stesso impianto, diversa chiusura: il vero comunismo è la pandemia. Sacrosanto. E non dite che scherzo con la tragedia. Piuttosto la viro in commedia.
Facile anche “Toponomastica rivoluzionaria”: tanto “Via Marco Bucci” quanto “Via Giovanni Toti” funzionano. Volendo si possono aggiungere “Corso Mariolino” (per i nostalgici del calcio) e “Piazza Pulita” (gía che te rigía l’Amiu dov’a l’è finía?, producendomi in genovese maccheronico, o se si preferisce trofiesco).

Ma sto divagando. Torno al rimario, triste e solitario: dalla destra prendo “rossi e cinesi/ vi vogliamo tutti stesi”. Cambio campo: “Cacciati senza tregua andrem di terra in terra/ a predicar la pace ed a bandir la guerra/ la pace tra gli oppressi, la guerra agli oppressor”. Anche se fine ‘800 cito questa strofa da “Addio Lugano bella”: se la guerra è al bando, lo è per tutti. A meno che l’autore, Pietro Gori, non volesse farsi banditore e dichiararla a tutti o quasi.
Basta. La fantasia al podere. Elaborare meno, elaborare tutti.
E chiudo con uno slogan dall’evidente attualità in qualsiasi dibattito sulla sinistra: “Fuori i compagni dalle balere”: andate a lavorare.

 


stefano bigazzi*Stefano Bigazzi: Genova, 1957. Giornalista.