Zag zig - Parole SpalancatePadre Francesco Maria Marino
Attivo dal 1995, il Festival Internazionale di Poesia di Genova “Parole Spalancate” è la più grande e longeva manifestazione italiana di poesia
Festival, poesia, Genova
1939
post-template-default,single,single-post,postid-1939,single-format-standard,ajax_fade,page_not_loaded,,paspartu_enabled,paspartu_on_bottom_fixed,qode_grid_1300,qode-content-sidebar-responsive,qode-child-theme-ver-1.0.0,qode-theme-ver-13.2,qode-theme-bridge,wpb-js-composer js-comp-ver-5.4.5,vc_responsive
 

Zag zig

Zag zig

ZAG ZIG. Vagheggiamenti vagamente svagati
Rubrica di Stefano Bigazzi*


PADRE MARINO

Padre MarinoPadre Francesco Maria Marino avrebbe voluto e dovuti presentare a Genova il suo “Microscopico furore”, su invito di Lucina Bovio per conto di un cenacolo poetico cittadino.
La tavolozza geografica della pandemia lo ha tuttavia tenuto lontano dalla Liguria. Quando potrà, verrà. Intanto volentieri ne cito almeno il lavoro. Che è alquanto interessante, non solo per il personaggio frate predicatore, Domenicano.
Le sue “poesie al tempo del coronavirus” sono una conversazione pacata sul presente aperta a qualsiasi interlocutore religioso e no: “Un microscopico furore d’invisibile livore/ mangia aggressivo e violento/ il debole corpo rugoso/ e la tenacia del giovane spavaldo./ Non si vede e non si tocca,/ non si conosce ma si respira/ questa prova nera che sigilla/ amore e ricordi./ Ti piomba addosso rapace e fulmineo/ e ti afferra in riflessione/ per l’ultima volta./ Può suonare sciagura per sé/ e per l’io, o può cantare/ premura collettiva”.

Se non ci perdiamo non tutto è perduto. Ma non è cosa per pochi.
Tutti nella stessa barca: “Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”, cito Fabrizio De André.
Poi, rileggendo i versi di Padre Marino ho provato a interpretare tale sentimento – il furore – altrimenti, come lo stesso che da un anno risulta compresso in tutti noi; e stavolta attivo e non passivo: forte ma ridotto a quieta rassegnazione.
Il suo è quasi un ragionamento un po’ ad alta voce, pacato tuttavia aspro, di consapevole realismo: “Bevi i minuti con un brindisi alla vita/ mentre guardi l’orologio sul muro/ e condividi la tua biologia/ con chi suona alla porta./ Augurati di intercettare le spine/ di un cuore appena ferito/ con il bacio di uno sguardo/ particolare e rallentato./ Se chiedi aiuto liberalo/ e se cerchi pace imparala/ perché non v’è inganno più grande/ di una coscienza sporca./ Una vita di pochi metri quadrati/ è una cella senza finestra”. Strofa, quest’ultima, perfetta. Non occorre commento.

A ben leggere, tra i versi che descrivono la quotidianità di un mondo preso alla sprovvista (quello preoccupato dell’andamento del mercato del Barolo, o degli stuzzichini per armadilli, ma che non sa o non vuol sapere che esistono malattie micidiali in Africa, in Asia, dove vivono genti vittime che non sanno né possono curarsi) ci sono suggerimenti mai spocchiosi, tutt’altro: il poeta guarda alla speranza terrena, come valore semplice umano e condivisibile.
Coscienza in tempo calamitoso” ne è conferma: “Toccherà anche a me – lo sento/ quest’alito della morte – dice/ il canuto aggrappato ai ricordi/ in obbediente quarantena./ Non mi colpirà – ci rido su –/ ridacchia il giovane/ con le dita incollate al tablet/ in quarantena forzata./ La coscienza in tempo calamitoso/ ha sempre due facce:/ amara constatazione/ e illusoria divagazione./ E il profumo del dolore/ è un’anima comune”. Saggio, inevitabilmente.
Restando al tempo del virus chiudo con Lucina Bovio medesima, donna di spirito (perché spirituale, pure spiritosa), che mi lascia un suo semiserio gioco di parole sulla musica di “Amore che vieni, amore che vai”. Di nuovo André: “Quei giorni perduti a rincorrer tamponi,/ a mettersi guanti e a volerne altrettanti/ tra un mese o entro l’anno ti vaccinerai/ o Covid che vieni, o Covid che vai”. “E tu sulla spiaggia vendevi gelati/ ma dopo nessuno li ha più comperati/ tra un mese o entro l’anno ristoro ne avrai/ o Covid che vieni, o Covid che vai”. Infine “E tu in quella zona di un altro colore/ mi dici le stesse parole: ‘ho il terrore’/ tra un mese o tra un anno il tramvai prenderai/ o Covid che vieni o Covid che vai”.

 


stefano bigazzi*Stefano Bigazzi: Genova, 1957. Giornalista.