Prima del calcio di rigore - Parole Spalancate Il volo del rondone
Attivo dal 1995, il Festival Internazionale di Poesia di Genova “Parole Spalancate” è la più grande e longeva manifestazione italiana di poesia
Festival, poesia, Genova
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Prima del calcio di rigore

Prima del calcio di rigore

PRIMA DEL CALCIO DI RIGORE
Rubrica di Stefano Rissetto*


22 MARZO 1981, IL VOLO INFINITO DEL RONDONE 

Visto dall’alto non smetteva mai di volare quel pallone, come un rondone condannato a non toccare terra.
Fu un attimo e in quell’attimo parve di sentire il fruscio della rete, quell’attimo oggi compie quarant’anni.
Bisogna quindi averne cinquanta almeno, quando dici: il gol di Chiorri. E capisci. Non serve altro.
Gli almanacchi riferiscono di Milan-Sampdoria 0-1, 22 marzo 1981, 7a di ritorno del campionato di B, all’indomani dell’inaugurazione della primavera e della vittoria di Fons de Wolf alla Sanremo. Novellino giocava nel Milan, come Collovati e Baresi che l’anno seguente sarebbero diventati campioni del mondo, e molto tempo dopo, come il Pilato di Anatole France, interpellato avrebbe detto: non me la ricordo, quella partita. Mantovani era alla seconda stagione da presidente. Lo stadio sembrava vuoto e c’erano quasi cinquantamila persone, duemila doriani al secondo piano della curva nord. Per molti di loro la prima a San Siro, per alcuni anche nella stessa Milano. Di tutte le città la più lontana da Genova.
Il minuto era il 62.
Ma non hanno senso i minuti, quando si parla di quarant’anni e di quel che ci è finito dentro, cioè – parlo per chi c’era – la gran parte delle nostre vite. I migliori anni della nostra vita. La storia che quel giorno davvero cominciava, il sospetto che l’impossibile – come vincere a Milano – sbloccasse tutto il resto del reale.
Il rondone non può toccare terra, dice la leggenda, altrimenti con le sue zampe malfatte smarrirebbe l’arte del volo; quel pallone finì invece addosso a Piotti e poi planò in porta.
A ridosso dello stadio c’era un luna park con le giostre e i cavalli colorati e la ruota e il tirassegno. Era quella la giovinezza ed era finita in un giro a tondo, in quel gol secco schiocco di luce, bussola con cinque o sette punti cardinali anzi il nove blucerchiato sulla schiena.
Volarono anni corti come giorni. E tutto passava da San Siro, ancora. Vennero le coppe e le finali vinte e perse, uno scudetto di cartone tenuto insieme con lo scotch da pacchi e sollevato in alto dai campioni d’Italia quasi una citazione di quel che si era stati; in ultimo New Orleans planò nella lucentezza dell’ottone dietro le piscine di Albaro.
Ma Chiorri era già nel paese dei tropici, a raccontarsi senza crederci mille volte la stessa bugia.

Che era il più forte di tutti ma non aveva voluto esserlo davvero.
Moltiplica per mille quel che non c’è e sentirai così la sua grandezza. Si limitò a tracciare la strada che altri avrebbero percorso, restando nel castello dei destini che s’incrociano un po’ male, da cui si parte per vedersi ritornare.
6 settembre 1981, Bologna-Reggiana di Coppa Italia, Chiorri per la prima volta via dalla Sampdoria in prestito lascia il posto all’inizio del secondo tempo a un sedicenne all’esordio assoluto tra i professionisti: Roberto Mancini.
Torneranno insieme a Genova l’estate seguente. Solo uno dei due resterà.
Mantovani gli disse: sei stato la più grande delusione della mia vita. Avrebbe dovuto chiedergli, usando le parole di un amico: com’è che non riesci più a volare?
Nel luglio 1984 Chiorri va alla Cremonese, in cambio di un attaccante soprannominato Topolino.
Infine Genova, 23 maggio 1992, Sampdoria-Cremonese 2-2: ultima di campionato, prima da vicecampioni d’Europa, addio di Vialli alla Sampdoria e di Alviero al calcio. A entrambi dicemmo: E se vai via di casa, accendi al momento / del commiato le quattro candele di una stella / perché illumini un mondo vuoto di realtà, /mentre ti segue con lo sguardo per l’eternità.
Ecco tutto qui.
Visto dall’alto vola ancora quel pallone di quarant’anni fa a San Siro. Il rondone non tocca mai terra. Non può. Perfino dorme in volo. E qualche volta sogna, perché sa sognare.

 


stefano rissetto*Stefano Rissetto, nato nel 1964 a Sestri Levante, vive a Genova. Da ragazzo avrebbe voluto fare il corridore ciclista e gli è rimasto il rimpianto di non averci provato davvero. Laureato in giurisprudenza con una tesi di filosofia del diritto, giornalista professionista, per un quarto di secolo ha lavorato al Corriere Mercantile e scritto per Stampa, Giornale, Avvenire e altri quotidiani e settimanali. Collabora a Primocanale. Scrive romanzi in cui il calcio c’entra e non c’entra.