L'orlo del fastidio - Parole Spalancate Pensieri di Antepasqua
Attivo dal 1995, il Festival Internazionale di Poesia di Genova “Parole Spalancate” è la più grande e longeva manifestazione italiana di poesia
Festival, poesia, Genova
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L’orlo del fastidio

L’orlo del fastidio

L’ORLO DEL FASTIDIO
Rubrica di Claudio Pozzani*


PENSIERI DI ANTEPASQUA

Mentre tutti aspettano il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che acusticamente suona come una pernacchia e nel nome ricorda la P2, l’unico ristoro che mi è arrivato e mi arriverà è quello proveniente dal piacere della lettura e della scrittura, visto che l’Italia è probabilmente l’unico Paese del mondo (d’Europa senz’altro) a non considerare la poesia e la letteratura come arte o spettacolo dal vivo e quindi finanziarlo.
D’altronde l’ho sempre detto che il vero sponsor tecnico di chi opera in questo campo dovrebbe essere il Gaviscon, visto che per noi la gastrite è una malattia professionale.
In un mondo e in un’epoca che hanno ridotto i miei punti cardinali (arte, passione, bellezza e creatività) a futili optional, facendo mutare il mio stato d’animo dall’indignazione al ribrezzo fino a un ossimoro come il “distacco arrabbiato”, mi sono stancato di pensare che esistere voglia dire essenzialmente resistere.
Resistere alla crescente arroganza degli ignoranti e fieri d’esserlo, resistere alla sciatteria, resistere all’indifferenza, resistere alla mancanza di merito e varie cose ancora.
E pure la parola resilienza, che amavo molto, ormai mi sta venendo a noia dato che la sento pronunciata sempre più spesso e fuori luogo.
Ho sorpassato indenne i grandi dubbi degli anni ’60 e ’70 (Mazzola o Rivera?), le dispute intellettuali degli anni ’80 (Amanda Lear: uomo o donna?), le conquiste degli anni ’90 (internet, cellulari e tamagotchi), il millenium bug del Mille e non più Mille, il vuoto degli anni ’00 (e vorrei vedere, con tutti quegli zeri), la devastazione del politicamente corretto degli anni ’10 e sto cercando di salvarmi dal Covid e relativi hashtag ipocriti di questi primi anni ’20.
Questo per dire che la pelle mi è diventata di cuoio, lo stomaco di titanio, i nervi rilassati, ma proprio non mi riesce di arrendermi.
Fin dall’inizio della pandemia, quando era tutto un fiorire di arcobaleni e andràtuttobene, l’avevo detto: alla fine ci sarà un mors tua vita mea, le differenze saranno acuite, chi era stronzo prima lo diventerà ancora di più, le brave persone prenderanno ancor più mazzate.
Non sono contento di aver avuto ragione.
La pandemia ha peggiorato il peggio ma per fortuna non ha peggiorato il meglio, che però è minoranza. Ma che non abdica.
Si è dimostrato plasticamente che l’essenziale è legato ai bisogni primari.
Tutto il resto possiamo eventualmente chiuderlo: scuole, teatri, cinema, spazi culturali, musei, negozi non alimentari. Si sono salvate solo le librerie.
Ci sentiremo dire che si può vivere senza tutto questo.
Si può andare ad assistere a una messa ma non a uno spettacolo o a un reading, anche se tecnicamente (e per molti anche emotivamente) sia la stessa cosa. La cultura è un’appendice del turismo. Lo studio è importante solo come propedeutico a una professione e non in sé. Ormai si deve cercare uno stipendio qualsiasi e non un lavoro congeniale. Ma d’altronde ci sono legislatori che hanno detto che il lavoro è più importante della salute.
Esistere non può voler dire resistere.
Non più.
Basta.

 


claudio pozzani*Claudio Pozzani è poeta e flâneur.
Fa sogni ad occhi aperti fin da quando era bambino e tenta di realizzarli.