05 Mag Entremeses
ENTREMESES
Rubrica di Mayela Barragán
“LO SA, GABRIELA, CHE IL PORTO È DIVENTATO LA NOSTRA AMERICA?”
Nel marzo scorso ho ritrovato un libro che avevo letto negli anni ’90: América Mágica, Las mujeres y las horas dello scrittore colombiano Germán Arciniegas (Bogotá 1909 – 1999). Nel testo, l’autore – con più di settanta libri all’attivo e noto americanista – ci presenta dodici donne protagoniste della storia ispano-americana.
Inizia parlandoci di Inés Suárez, la prima donna spagnola che nel 1537 riuscì ad ottenere l’autorizzazione dalla Corte spagnola a recarsi nel Venezuela con l’obiettivo di ricongiungersi col marito, il conquistatore Juan de Málaga.
Arrivata nel Golfo di Paria, scopre che Juan si è recato in Perù. Inés non si perde d’animo e parte per il Cusco dove avrà però l’atroce sorpresa di essere diventata vedova. Nella terra degli Incas Inés Suárez conosce Pedro de Valdivia. Entrambi passeranno alla storia per avere fondato Santiago del Cile e per essere stati i protagonisti della prima storia d’amore “irregolare” dei tempi della Conquista spagnola: Valdivia, infatti, era sposato con Marina Ortiz de Gaete. Dalla loro vicenda la scrittrice Isabel Allende ha tratto Inés dell’anima mia, testo dal quale recentemente è stata ricavata una fiction che arriverà anche sugli schermi italiani, perché Mediaset ha acquistato la serie televisiva.
Ma ritorniamo ad Arciniegas.
Nella sua America Magica lo scrittore ci parla di altre donne: la messicana Sor Juana Inés de la Cruz o le peruviane Flora Tristán, la nonna di Paul Gauguin, e Micaela Villegas La Perricholi, che ispirò una commendia a Prosper Mérimée (“Le Carrosse du Saint-Sacremente”) e un film a Jean Renoir (“La carrozza d’oro”). Nel libro racconta anche di Anita Garibaldi. Egli inoltre ci narra le vicende di varie sue concittadine, come l’eroica Policarpa Salavarrietta “La Pola” martire dell’Indipendenza; le sue Juanas revoluzionarie o Santa Laura Montoya. Tratta anche delle ecuadoriane Manuelita Sáenz e Marietta Veintemilla, dell’irlandese Madame Lynch, luce e ombra del Paraguay; e, infine, chiude con Gabriela Mistral, la poetessa cilena che nel 1945 ricevette il Premio Nobel per la Letteratura.
Nella vita Germán Arciniegas e Gabriela Mistral furono grandi amici e nel capitolo che lo scrittore ha dedicato alla Mistral, è presente una lettera che lui nel giugno del 1960 le scrive da Rapallo. Tre anni prima, però, il 10 gennaio 1957, la donna era morta nell’Ospedale di Hempstead di New York.
“Ho visitato in questi giorni la sua casa di Rapallo e voglio dirLe che tutto è rimasto come quando Lei era qua, molto cileno il mare, con queste coste piene di nascondigli e di scogli, che l’hanno spinta ad esporre la bandiera del Cile come se fosse stata a casa sua. Rapallo, Santa Margherita, Portofino… Tutto come quando Lei era il Console, e la sua casa tutta la nostra America...”
Questo è uno dei passaggi della lettera nella quale Arciniegas si rivolge alla poetessa dandole rigorosamente del Lei. Lo scrittore, che all’epoca era l’Ambasciatore della Colombia a Roma, nello stesso anno in cui arrivò a Rapallo, ricevette l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro della Repubblica Italiana. La lettera continua così:
“Gabriela, ho visto la finestra da dove Lei si affacciava a guardare con i suoi occhi di eterna nostalgia, le barche colorate, i drappi dei velieri al largo ...”
Più avanti Arciniegas le domanda: “Ha visto qualche volta il Salvatore dei pescatori? (Il Cristo degli abissi n.d.a.) Non credo che Lei l’abbia visto, anche se sarebbe bastato salire a bordo di una barca, andare un po’ al largo e abbassare gli occhi, per vedere l’enorme scultura piantata sopra una roccia nel fondale marino […] Non creda che la stia lusingando, Gabriela: la ricordano, più che le persone, le pietre del molo, le onde che scandiscono con colpi da pittori impressionisti le venti case vecchie e le collane di luci rosse, verdi e gialle.
Lo sa, Gabriela, che il porto è diventato la nostra America? Nella stradina in discesa, nei primi trenta metri di case e dei quattro negozi dove vendono collane di nocciole e le eterne cartoline, un italiano che ha vissuto in Venezuela, nello stato di Lara, ha aperto una taverna che all’ingresso annuncia: Empanadas de cochino. Quanto la farebbe sorridere questo cartello. Venga a vederlo. Troverà i piccoli oggetti intimi che cercava in Colombia, in Centroamerica, in Messico, in Venezuela. I venezuelani, Gabriela, arrivano qua e chiedono ayacas”.
Rileggendo questa lettera di Arciniegas ho provato una profonda tenerezza, anche perché a Portofino esiste un ristoratore italo-cileno; di quello italo-venezuelano di sessanta anni fa, che ha menzionato lo scrittore, si sono perdute le tracce! Io conosco, invece, questo italo-cileno e l’ho contattato. Si chiama Luis ed è nato nel 1960 a Viña del Mar. Suo padre era di Lavagna e sua madre di Alessandria. I suoi genitori si erano conosciuti nel 1946 e, dopo essersi sposati in Italia, erano emigrati in Cile. Rimasero in terre cilene trent’anni – dove il padre nei primi tempi trovò lavoro amministrando l’Hotel Los Andes nella Quinta regione, la zona dell’agricoltura, per poi trasferirsi a Viña del Mar – fino a quando nel 1974 la famiglia, aiutata dai parenti, dovette rientrare in Italia.
“Avevo quindici anni e lo ricordo ancora perché la migrazione del ritorno è stata molto difficile. I miei in Cile parlavano in dialetto. Ma mio padre è stato fortunato perché a metà degli anni ’70, riuscì a comprare il ristorante a Portofino; mia madre era un’ottima cuoca, specializzata nella cucina ligure piemontese”—mi ha raccontato Luis, mentre al telefono ripercorriamo alcuni passaggi della lettera di Arciniegas. Ad esempio abbiamo analizzato il motivo per cui lo scrittore colombiano scrive alla Mistral; chi conosce la lettera lo sa bene: egli racconta di essere profondamente scosso a causa di un terremoto che ha fatto sparire la città di Valdivia.
Il Cile è una zona altamente sismica e il terremoto di magnitudo 9.5, a cui si riferisce lo scrittore, è considerato ancora oggi il più devastante della storia dell’umanità. Ma, per usare una tale calamità come metafora—ho chiesto a Luis—, quali sono i peggiori terremoti che hanno colpito i paesi dell’America Latina?
“Sì, purtroppo, in senso figurato, i terremoti sono altri, perché i paesi latinoamericani non trovano mai una stabilità, nonostante siano pieni di risorse. Il mondo e il Cile sono cambiati troppo in fretta. Per esempio, adesso il Cile è pieno di migranti venezuelani, gente che ha studiato, altamente qualificata!“.
Riprendo le parole dell’autore di America Magica, per dire a Luis che oggi, se qualcuno seguisse le impronte liguri della poetessa cilena, a Portofino troverebbe da mangiare cileno! Mi ha risposto di sì; che a richiesta loro preparano veri piatti cileni, come le Empanadas, il Pastel de Choclo, le Humitas, l’Asado, ecc., infatti, ai fornelli hanno un’autentica cuoca cilena, che lui chiama affettuosamente “La Nana”. Ma ha precisato che la cucina del ristorante è prevalentemente italiana.
Saluto Luis e ritorno alla lettera di Arciniegas, perché alla fine lo scrittore si congeda dall’amica della quale avverte l’assenza e la definisce così: “Ai suoi tempi, lo so, qua Lei era un po’ la Capitana di un regno nascosto“.
*Mayela Barragán è nata nelle Ande del Venezuela. Nel 1989 è arrivata a Genova per amore. Ha vissuto in diversi paesi del Medio Oriente e del Maghreb. E’ giornalista, traduttrice e accompagnatrice interculturale di “Migrantour Genova”. Collabora con “Il Corriere di Tunisi”. Esperta di temi latinoamericani e, in particolare, della regione di confine tra il Venezuela e la Colombia.