17 Gen Entremeses
ENTREMESES
Rubrica di Mayela Barragán
CONVERSAZIONE CON L’ILLUSTRATRICE PERUVIANA ISSA WATANABE
Nel novembre scorso, in occasione della Fiera del libro di Guadalajara in Messico, la rivista “Babelia” del giornale spagnolo “El País” le ha dedicato la copertina, io l’ho conosciuta guardando “Fuerza latina”, un programma dell’emittente tedesca “Deutsche Welle” nel suo canale di lingua spagnola. Issa Watanabe è un’illustratrice di libri per bambini di fama internazionale. Sua madre è Gredna Landolt, anche lei illustratrice, e suo padre il poeta José Watanabe, scomparso nel 2007.
Dopo averla vista nel canale tedesco, ho inserito il suo nome nel motore di ricerca di Google e dai risultati emersi, ho scoperto che Issa è conosciuta anche in Italia.
Ha partecipato alla Fiera dell’Illustrazione di Bologna e, inoltre, Logosedizioni ha pubblicato “Migranti”, il suo ultimo libro. Dopo avere ottenuto queste informazioni, mi sono messa in contatto con lei — via Instagram —per chiederle un’intervista. Ha accettato e così lo scorso 18 novembre, Issa Watanabe si è collegata con me dalla sua casa di Lima e abbiamo tenuto la seguente conversazione.
Qual è la poesia di tuo padre che ti piace di più?
È difficile risponderti — mi ha detto subito — perché alcune poesie benché non mi piacciono dal punto di vista formale, tuttavia mi commuovono perché mi rimandano a tempi, momenti e situazioni che mio padre ha vissuto e che mi toccano profondamente. Mi riferisco in particolare al libro “Cosas del cuerpo” (Cose del corpo). Un testo che ha scritto dopo avere trascorso un anno in Germania, sapendo che il cancro non gli avrebbe lasciato alcuna speranza. Ed è per questo che “Cosas del cuerpo” per me è un libro potente, forte! Mentre a livello di forma, le poesie “El Lenguado” (La sogliola), o “Animal de invierno” (Animale d’inverno), presenti nei suoi ultimi libri, mi piacciono molto.
Tuo padre aveva radici giapponesi?
Sì, suo padre, mio nonno Harumi, nel 1919 partì dal Giappone per il Perù. Era uno degli immigrati giapponesi provenienti dalle campagne che vennero qua a lavorare la terra. Uomo colto — possedeva una cultura insolita per quel tempo — era pittore, parlava francese e aveva studiato Belle Arti. Arrivò al nord dove conobbe mia nonna Paula che era andina, figlia di migranti interni scesi dall’altopiano a vivere a Trujillo. Mio padre è cresciuto in una situazione di estrema povertà: da bambino andava alle scuole pubbliche senza scarpe. Ha vissuto in una piccola casa con pareti di tufo, ma era un ottimo studente, a differenza dei suoi fratelli. Aveva anche una sensibilità incredibile; ottenne diverse borse di studio che gli permisero di spostarsi a studiare nella Capitale. Ma anche mio nonno Harumi si trasferì con tutta la famiglia a Lima, dove si comprò una bellissima casa grazie a una cospicua vincita alla lotteria.
Mi hai raccontato che anni dopo la morte di tuo padre, tua sorella Maya, andò in Giappone per lavoro e approfittò per fare una ricerca sui vostri antenati giapponesi, giusto?
Certo, alcuni anni dopo la morte di mio padre, mia sorella che vive ad Amsterdam ed è una videoartista concettuale, devo dire molto brava, è andata là e ha potuto visitare la località dove aveva vissuto nostro nonno. Non solo! È riuscita a ricostruire il nostro albero genealogico. Maya ha scoperto vicende dei nostri antenati che mio padre non ha mai saputo, ad esempio, il fatto che anche il suo bisnonno, che si chiamava Juzan, era un poeta famoso nel Giappone dell’epoca. Saperlo per noi è stato incredibile, perché abbiamo constatato che la poesia era stata tramandata attraverso le generazioni senza alcuna consapevolezza.
Mia sorella, con l’aiuto di alcuni reporter della NHK, la televisione nazionale giapponese, ha potuto fare delle ricerche dalle quali hanno ricavato un documentario che è stato mandato in onda sul canale regionale di Okayama. Inoltre, Maya ha scoperto che il nonno all’età di vent’anni era stato adottato dai Watanabe, non avendo questi figli maschi. E che la nostra famiglia è appartenuta a un gruppo di samurai del rango “Oogumi”. Nell’epoca del rinnovamento Meiji (1866/1869) ai samurai furono tolti i privilegi, questo fatto causò molta povertà; ragion per cui tanta gente da Iwakumi e Okayama fu costretta a migrare verso il Perù e le isole Hawaii.
Che cosa ti piace ricordare di tuo padre?
Che grazie a lui sono cresciuta immersa nella poesia. Ci leggeva con frequenza “Xenia” di Eugenio Montale, Ungaretti, ecc. Io amo Montale per questo … — E Issa Watanabe ha recitato, in spagnolo, i seguenti versi — : “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio…”
Continui a leggere la poesia italiana?
Sì, cinque mesi fa in una libreria di Lima ho comprato un libro di Montale, un’edizione del 2005 in spagnolo de “Le occasioni”; la prima poesia che ho letto parlava di una farfalla bianca che si brucia in una lampada a gas: Caro piccolo insetto che chiamavano mosca non so perché, stasera quasi al buio mentre leggevo il Deuteroisaia sei ricomparsa accanto a me, ma non avevi occhiali, non potevi vedermi né potevo io senza quel luccichio riconoscere te nella foschia… Poi ho lasciato il libro sul comodino, felice come non mai. Però Kira, una cucciolotta di Labrador che da poco è entrata nella mia vita, l’ha trovato e se l’è mangiato tutto. Ha divorato il libro di Montale! Più tardi sono tornata al negozio per vedere se c’erano altre copie, ma non ne avevano più.
È difficile trovare a Lima dei libri di poeti italiani?
In Perù dall’Europa arriva pochissima poesia, solo quella classica si trova con facilità; per esempio, la poesia spagnola di Antonio Machado anche perché si studia a scuola. Della poesia contemporanea europea non arriva quasi niente. A Lima abbiamo una piccolissima libreria specializzata ed è lì che ho trovato il libro di Eugenio Montale. Di solito non importano molte opere, anche se bisogna dire che il Perù è un Paese di poeti. Qui esiste un grande interesse per la poesia e abbiamo una tradizione molto importante; ti posso citare alcuni nomi, come Jorge Eduardo Eielson Sánchez, Javier Heraud o José Watanabe — ha pronunciato il nome di suo padre sorridendo — . Abbiamo anche ottimi poeti contemporanei, giovani uomini e donne di eccellente qualità!
Tuo padre è mai stato pubblicato in italiano?
Non credo! Una casa editrice spagnola — la PRE-TEXTOS — che ha curato un’edizione completa delle sue opere, tra l’altro è una delle sue ultime pubblicazioni, stava per approntarne una traduzione in italiano, ma non l’ha portata a termine.
Tu, invece, sei conosciuta in Italia, hai vinto la Mostra degli Illustratori della Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna…
Sì, durante la 55ª edizione della Fiera del Libro di Bologna, nel 2018, è stato indetto un concorso internazionale e io l’ho vinto! Sono andata a Bologna in quell’occasione. Ho partecipato nuovamente a una delle ultime edizioni e ho vinto di nuovo! Purtroppo la premiazione è stata cancellata a causa della pandemia, non ho potuto viaggiare, ma la mia arte era ugualmente presente alla fiera. Conosco diverse città italiane: Bologna, Firenze, Venezia, Roma, ma Genova no!
Stai avendo un ottimo successo con il tuo ultimo libro per bambini…
Sì, devo dire che “Migranti” ha raggiunto rapidamente molta notorietà a livello internazionale. Oltre che in spagnolo hanno fatto delle edizioni in italiano, nel portoghese del Brasile e del Portogallo, in francese, tedesco, inglese, catalano e sloveno. Questo è il primo libro che faccio da sola, perché prima avevo illustrato, “Más te vale mastodonte” scritto da Micaela Chirif, un altro libro per bambini che ha vinto il concorso internazionale “A la orilla del viento”, ma che è stato tradotto solo al giapponese e al francese. Tra l’uscita di quest’ultimo e la pubblicazione di “Migranti” è passato parecchio tempo, perché stavo lavorando come art director e le illustrazioni le facevo nel tempo libero. Ma a un certo punto, ho dovuto dedicarmi completamente al libro e sono riuscita a finirlo. È stato pubblicato alla fine del 2019 da “Libros del zorro rojo”, una casa editrice spagnola e in meno di quattro mesi “Migranti” ha avuto una decina di edizioni diverse; una di queste è di Logosedizioni, ora lo stanno pubblicando anche in giapponese.
Quante pagine ha “Migranti”?
Sono diciotto illustrazioni a doppia pagina e senza testo. È un libro su cui si sviluppano interessanti progetti sociali rivolti ai bambini di centri di accoglienza europei che hanno subito dei traumi durante le migrazioni.
Un libro di sole immagini?
Sì, senza parole! Ma sono illustrazioni molto poetiche. “Migranti” è la sequenza di un viaggio e ogni immagine rappresenta molte cose. Il fatto che non esista un testo scritto permette a chi guarda le immagini di inventarsi una propria storia. È un particolare che sta aiutando alla diffusione dell’opera. Ad esempio, ora in Francia in base al libro, stanno elaborando un progetto multidisciplinare nel quale arte, danza e teatro sono fusi insieme; durerà circa un anno, parteciperanno bambini da diverse parti del mondo e dal momento che è una favola senza parole, i bambini vi si potranno identificare e raccontare le proprie storie. Alla fine di gennaio del 2022, parteciperò personalmente anche in un altro progetto francese: lavorerò per una settimana con ragazzi di diverse nazionalità in alcune centri di accoglienza. “Migranti” utilizza un linguaggio universale. È stato pubblicato nel dicembre del 2019 in Spagna ed è poco noto in Perù. Durante la sua presentazione nel Paese iberico, sono stati organizzati molti eventi. Poi, però è arrivato il 2020 e hanno chiuso tutto a causa della pandemia, per questo motivo in Perù, che è stato colpito duramente dal Covid, il mio libro è conosciuto poco; ho potuto lavorare solo virtualmente e soprattutto con altre nazioni.
La tua storia familiare ha a che fare con le migrazioni…
Sì, devo dire che la storia della mia famiglia è proprio bella! Perché anche mio nonno materno era un migrante. Infatti, agli inizi del novecento dalla Svizzera arrivò in Perù e s’innamorò di mia nonna che era la figlia di un proprietario terriero benestante. Loro avevano grandi piantagioni di canna da zucchero e numerose fabbriche nel nord del Paese. Ma durante la riforma agraria di Juan Velasco Alvarado furono espropriati e si dovettero trasferire a Lima; mantennero il loro status, ma senza la ricchezza di prima. Quando mio padre e mia madre si conobbero, mia nonna materna fece fatica ad accettare l’amore di sua figlia per il poeta giapponese: comunque si sposarono lo stesso e sono nata io. Entrambi avevano già una figlia da matrimoni precedenti. Noi siamo quattro sorelle: la figlia del primo matrimonio di mio padre è andata a vivere in Giappone, mentre ho un rapporto stretto con la figlia del primo matrimonio di mia madre.
Hai vissuto per vent’anni a Mallorca, ma dopo hai deciso di tornare a Lima…
Ho studiato Belle Arti e Illustrazione a Mallorca dove ho vissuto per lungo tempo anche dopo gli studi, ma sono rientrata in Perù perché mi mancava quella sensazione particolare che ti procura l’assenza di programmazione che regna a Lima: un luogo dove in una giornata può accadere di tutto, mentre in Europa, invece, tutto è programmato, qui no! Lima è una città vivace e offre molte possibilità.
Nuovi progetti per il 2022?
Ho intenzione di aprire una piccola libreria specializzata in libri per bambini, un genere che qui è quasi inesistente. In futuro spero di concretizzare altri progetti che mi permettano di impegnarmi di più nel sociale.
Chiunque voglia mettersi in contatto con te, che può fare?
Mi può trovare e seguire su Instagram, perché per ora non ho un sito web.
Issa, ti ringrazio per il tempo che mi hai concesso e, per finire la nostra conversazione, vorrei porti quest’ultima domanda: quale piatto della cucina peruviana suggerireste?
Senz’altro il Ceviche o il Tiradito che è un altro tipo di Ceviche, però senza le cipolle. Posso anche consigliare la cucina “Fusion”: io amo il cibo giapponese, ma in Perù abbiamo La Chifa: una varietà di piatti a base di riso nati dalla fusione della cucina peruviana con quella cinese risalente all’epoca dei migranti che, nell’Ottocento, dalla Cina si trasferirono in Perù.
*Mayela Barragán è nata nelle Ande del Venezuela. Nel 1989 è arrivata a Genova per amore. Ha vissuto in diversi paesi del Medio Oriente e del Maghreb. E’ giornalista, traduttrice e accompagnatrice interculturale di “Migrantour Genova”. Collabora con “Il Corriere di Tunisi”. Esperta di temi latinoamericani e, in particolare, della regione di confine tra il Venezuela e la Colombia.