COSE CHE INTERESSANO A ME - Parole Spalancate è tardi! ...per l'Opera?
Attivo dal 1995, il Festival Internazionale di Poesia di Genova “Parole Spalancate” è la più grande e longeva manifestazione italiana di poesia
Festival, poesia, Genova
2306
post-template-default,single,single-post,postid-2306,single-format-standard,ajax_fade,page_not_loaded,,paspartu_enabled,paspartu_on_bottom_fixed,qode_grid_1300,qode-content-sidebar-responsive,qode-child-theme-ver-1.0.0,qode-theme-ver-13.2,qode-theme-bridge,wpb-js-composer js-comp-ver-5.4.5,vc_responsive
 

COSE CHE INTERESSANO A ME

COSE CHE INTERESSANO A ME

COSE CHE INTERESSANO A ME
Rubrica di Stefano Trucco*


È TARDI, DI EDUARDO SAVARESE

savaresePremessa: io mi commuovo facilmente, tipo con i film Disney e Pixar: so che sono manipolatori e studiati al millimetro, so esattamente come funzionano, so sempre esattamente cosa sta per succedere ma niente, quando arriva il momento della commozione programmata mi commuovo e sento qualcosa in gola e le lacrime che premono per uscire. A parte una volta in casa, da solo, riesco a fermarmi in tempo ma insomma, so come ci si sente.

Questo per dire che leggendo ‘E’ tardi!’ di Eduardo Savarese sono stato più volte sul punto di piangere.

Il libro, un saggio con elementi di memoir personale, racconta la storia di sette eroine dell’opera lirica: la Traviata di Verdi, la Butterfly di Puccini, la Carmen di Bizet, la Contessa di Mozart, la Lucia di Lammermoor di Donizetti, l’Elettra di Richard Strauss e la Norma di Bellini (E’ tardi! lo dicono sia la Traviata che la Norma prima di morire).
Devo dire che il mio rapporto con l’opera lirica è abbastanza problematico. Non facevano parte della mia educazione musicale pop-rock (metallara, pure). Oltretutto, visto che il luogo comune posizionava l’opera lirica come l’Italia per eccellenza a me non poteva interessare dato che non mi consideravo italiano: non sentivo musica italiana, non leggevo romanzi italiani, non guardavo film italiani, non mi interessava la storia italiana, quindi figuriamoci l’opera, che non capivo nemmeno le parole.

Poi verso i trent’anni mi arresi all’evidenza: ero italiano, non ero un americano o un inglese in esilio. Decisi di riprendere contatto con la mia tradizione, credo con un certo successo. L’opera però rimaneva un problema.
Continuavo a non capire le parole e la musica, indubbiamente bella, mi rimaneva estranea. Poi c’era tutto il problema snobistico, il fatto che fosse non solo CULTURA ma ARTE e pure arte costosa, ai tempi. Anche il modo in cui era raccontata e insegnata, col massimo rispetto per la musica ma staccata dal contesto spettacolare (con l’idea che la musica esista oltre la sua performance e che debba essere sottratta al gusto del pubblico pagante) e soprattutto dalla natura delle storie e dei libretti, che era ovviamente ‘melodrammatica’ e quindi off limits sia per la cultura corrente che per quello che credevo essere il mio temperamento. Vivevo in una temperie culturale in cui si ammirava (e ancora si ammira) il riso e si provava (e ancora si prova) la massima diffidenza per il pianto e la cosa mi pareva del tutto naturale.
Ecco, un libro come quello di Savarese funziona molto bene per ricordarci non solo che il pianto o almeno la commozione sono perfettamente naturali e che è la censura contro di essi a essere innaturale, ma anche che attraversando la soglia dell’ARTE e della CULTURA l’opera può ancora fare il suo sporco lavoro e commuoverci.
Funziona perché, pur dando tutto il giusto peso alla musica e alle interpretazioni di direttori d’orchestra e soprattutto cantanti (la Callas domina), si concentra sulle storie e sui libretti e ci fa capire l’effetto che avevano all’epoca e come possano avere lo stesso effetto anche oggi, considerando che se pure tanto è cambiato ci sono cose che restano uguali, per esempio la sofferenza femminile.

La Traviata, costretta a rinunciare alla possibilità dell’amore e della redenzione per compiacere una morale meschina; Butterfly, che si ostina a credere che Pinkerton (probabilmente il ruolo da tenore più ingrato dell’intera storia dell’opera) tornerà; Carmen che vuole essere libera e ne paga fino in fondo le conseguenze; Lucia, portata alla pazzia dagli uomini della sua vita, compresi quelli che la amano; Elettra, ferma nel suo proposito di vendetta contro Clittenestra, costi quel che costi; Norma, che arriva quasi a uccidere i suoi figli, per poi morire con l’uomo che ama. Solo la Contessa ci consente un momento di felicità e divertimento, sia pure con un fondo malinconico.
Savarese racconta tutto questo intrecciandolo alla sua vita sentimentale e al rapporto con la madre che lo iniziò all’opera e se questo al principio del libro mi pareva un po’ un’intrusione poi si giustifica nel magnifico epilogo al San Carlo di Napoli, dove fantasia, memoria e saggio critico si fondono.
Insomma, se volete saperne di più sulla tradizione musicale più gloriosamente italiana leggetelo, ma vi avverto, potreste piangere e tutto sommato vi farebbe pure bene.

 


stefano-trucco*Stefano Trucco è nato nel 1962 a Genova, dove vive e lavora come bibliotecario. Ha pubblicato due romanzi – ‘Fight Night’ (Bompiani, 2014) e ‘Il Gran Bazar del XX secolo‘ (Aguaplano, 2019) -, il racconto lungo ‘1958. Una storia dell’Età Atomica‘ (Intermezzi, 2018) e un po’ d’altri racconti qua e là.