Bourbon & congetture - Parole Spalancate Black Pumas
Attivo dal 1995, il Festival Internazionale di Poesia di Genova “Parole Spalancate” è la più grande e longeva manifestazione italiana di poesia
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Bourbon & congetture

Bourbon & congetture

BOURBON & CONGETTURE
Rubrica di Walter Gatti*


BLACK PUMAS, RIPARLIAMO DI SPERANZA?

black pumasNei giorni scorsi si sono tenute le premiazioni dei Grammy, il premio americano che premia il meglio della musica a stelle e strisce. Noi abbiamo Sanremo, loro i Grammy.

Guardando i vincitori e i nominati di quest’anno (riferiti alla stagione scorsa) si vede sfilare sul palco (virtuale) del Grammy tutta la musica che conta, con bei nomi più o meno storici da Taylor Swift a James Taylor, da Lady Gaga agli Snarky Puppy, oltre ad una schiera di rapper, starlette, produttori e collaboratori di varia estrazione. Con i Grammy ogni anno si fotografa e si definisce un mondo, codificando dove va la produzione, la sensibilità, gli interessi industriali, gli intrecci tra le varie anime e la cultura diffusa, in quello che si conferma come l’unico vero mercato di riferimento della musica mondiale.

C’è da dire che in questa sua voracità e necessità inclusiva ormai il Grammy premia chiunque (ci sono premi pure per le migliori note di copertina degli album-cd), ma proprio per questa sua grottesca bulimia artistica è da considerare nelle sue olimpiche qualità: il premio indiscutibile che rappresenta tutti e non dimentica nessuno.
Un po’ ingenui? Si certo. D’altra parte sono così aperti, limpidi e non schematici che un bel premio alla carriera a Raul Casadei loro l’avrebbero dato di certo da vivo.

Vedere le classifiche del Grammy significa soprattutto imparare una lezione per il futuro: si annotano i vincitori (applausi), ma contemporaneamente si registrano (per il futuro) i “nominati”. I premi mancati oggi, sono i possibili vincitori di domani.
Tra i “premi mancati” dell’edizione appena conclusa anche quello ai Black Pumas.
Carneade: chi era costui? Black Pumas: si tratta di un duo messo in pista ad Austin, Texas, dal chitarrista e produttore Adrian Quesada (44 anni) e dal cantante californiano Eric Burton (30 anni). Il primo è già componente di una buona funky band (Grupo fantasma), mentre il secondo si è fatto per lo più una gavetta come cantante di strada, facendo il busker in giro per gli stati del west.
I due hanno assemblato uno dei più begli esordi musicali di questi anni con un disco che porta il nome della band, Black Pumas, con l’immagine di due famelici felini in cover. Album potente, immediato, diretto, emotivo, ma soprattutto disco di immensa memoria: tutto nelle canzoni, nei ritmi, negli arrangiamenti ci riporta a Curtis Mayfield e Otis Redding, a Marvin Gaye e Nile Rodgers, ed anche al miglior Prince. Radici gospel e soul, ritmi e arrangiamenti che stanno tra la Stax e Minneapolis; temi e valori che riscattano il machismo di tanto rap per arrivare diritti al cuore di un mondo che rimane inquieto oggi come sempre nella sproporzione tra desideri e realtà.

Canzoni come Colors (“Con tutti i miei colori preferiti, sì, signore / Tutti i miei colori preferiti, proprio sopra di me / Le mie sorelle e i miei fratelli / Guardali come nessun altro”) ci portano diritto dalle parti di People Get Ready di Mayfield, sia nell’approccio gospel, che nella positività della narrazione e del feeling. Un disco di domande e di speranza, che potrebbe stare bene tra Many River to Cross (Jimmy Cliff) e I Shall Be Released (Bob Dylan) per la qualità immediata di non dimenticare l’uomo che oggi vive, soffre, e soprattutto spera.

Qui sta il punto: un duo esordisce, produce un disco bellissimo (canzoni come Oct33, Black Moon Rising, Touch the Sky, Fire non passano invano) e lancia un messaggio spiazzante di umanità autentica, di pace, di unità proprio nell’anno del Covid, nell’anno degli scontri americani pro-contro Trump, nell’anno in cui il mondo ha perso la sua baldanza tecnico-finanziaria. Ottimi nel loro esordio, i Black Pumas usano gli stili, i ritmi, gli arrangiamenti e il sound che il soul, il gospel e il funky (con evidenti spruzzate di psichedelia) hanno fatto propri. Ma soprattutto hanno rimesso al centro del discorso artistico quel vecchio soprammobile che è l’uomo, la donna, la persona che vive, ama e sanguina.
Non hanno vinto un Grammy, ma hanno fatto ugualmente centro.

 


walter gatti*Walter Gatti, giornalista (Lodi, 1959).
Scrive dalla metà degli anni ’80. Appassionato di musica americana, preferisce il blues e adora il southern rock. Il destino benevolo gli ha fatto intervistare B.B.King e Albert Collins, Jeff Buckley e Pink Floyd, Dan Aykroyd e Leonard Cohen. Ha visto in concerto Stevie Ray Vaughan e la Allman Brothers Band: il resto è un’appendice.